“Eravamo i fratelli Grimm: nel secolo più scosso e
imbizzarrito della storia umana, noi scrivevamo favole.” Così Erri De Luca
descrive se stesso e l'amico Izet Sarazliĉ, poeta bosniaco di cui cura
l'introduzione alla raccolta di poesie Chi ha fatto il turno di notte.
Ed è così che si può dare una interpretazione de “Il peso della farfalla”: una
favola.
Lo scontro tra i due re dei camosci, l'animale e il
cacciatore; il loro arrancare sui pendii scoscesi, segno di un tempo che avanza
ostinato; il rispetto sacrale tra preda e predatore; le leggi non scritte della
montagna, che vibrano nello scalpitio degli zoccoli e nel fruscio del vento
novembrino: tutto questo si fa favola metaforica dell'esistenza. Con delicata
amarezza, De Luca, ricordando l'Hemingway de Il vecchio e il mare,
indaga così due solitudini che si stagliano tra i precipizi e il cielo. Quella
di un uomo che si rifugia nella lotta folle ed estenuante del bracconiere,
forse disilluso da una gioventù che “voleva essere primizia di tempi opposti”.
E quella di un animale maestoso e mesto, leggero ed elegante scalatore, una
farfalla, gravata però da quel peso che è la resistenza alla furia dell'uomo.
Un duello latente fino alla fine del racconto, quando, nel riconoscersi dei
due, l'uomo dimostrerà ancora una volta di non aver capito nulla “di quel
presente che era già perduto.”
Letizia Pasinelli, IIIB
Classico
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