domenica 29 dicembre 2013

Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un'Eterna Ghirlanda Brillante

«Questo libro è strutturato in modo insolito: come un contrappunto tra Dialoghi e Capitoli. Lo scopo di questa struttura è di permettermi di presentare i concetti nuovi due volte. Quasi ogni concetto nuovo viene prima presentato metaforicamente in un Dialogo, con una serie di immagini concrete, visive; queste servono poi, durante la lettura del Capitolo successivo, come sfondo intuitivo per una presentazione più seria e astratta dello stesso concetto.»
Perché Gödel, Escher e Bach? Perché proprio questi tre? Cos’hanno in comune? Verso la fine del libro, l’autore spiega che: «Idee collegate in modo profondo spesso sono molto diverse in superficie.» Così succede per Gödel, Escher e Bach: Escher «ha dato una parabola pittorica del Teorema di Incompletezza di Gödel» e Bach ne ha fornito la chiave musicale: «Bach e Escher esprimono uno stesso tema in due “chiavi” diverse: musicale e visiva».
L’impressione che mi è rimasta è di aver colto molto di quello che l’autore ha proposto nel libro, ma di aver anche perso sicuramente qualcosa, perché, come dice l’autore stesso verso la fine: «Non si penetra mai abbastanza a fondo nell’Offerta musicale. Quando si crede di conoscere tutto, vi si trova sempre qualcosa di nuovo». Per questo motivo, ho intenzione di rileggere questo libro tra qualche anno.
Già ora, comunque, sono rimasta affascinata dal legame tra i dialoghi e i saggi: i dialoghi non solo costituiscono un’introduzione ai saggi, ma anche un’evasione da una lettura difficile e impegnata. E danno anche un’idea di quanto sia profonda la preparazione dell’autore. In ognuno dei dialoghi erano nascoste perle preziose, che non sono sicura di aver colto completamente.

Daniela Molinari

David Lindley, Gli atomi di Boltzmann

“Una biografia organica e completa di Ludwig Boltzmann deve ancora essere scritta, e questo libro non si propone di colmare tale lacuna”. Nella prefazione, l’autore ci informa che i particolari della vita di Boltzmann, soprattutto quelli della prima parte, sono scarsi e provengono dai ricordi e dagli aneddoti di coloro che lo conobbero. Il libro è in ogni caso un’ottima lettura perché, oltre a descriverci la vita di Boltzmann, ci dà uno spaccato dell’Europa della fine del XIX secolo – in particolare dell’impero austro-ungarico – e ci permette di cogliere fino in fondo i mutamenti scientifici che hanno interessato quel periodo, con la nascita della fisica teorica e lo scontro con la filosofia di Mach, così influente sulla ricerca scientifica del periodo.
Le tematiche presenti nel libro sono ancora attuali: la vicenda umana di Boltzmann non è diversa da quella di una qualsiasi persona che lotta per le proprie idee e ne è alla fine sopraffatto e il dibattito moderno sulle supercorde, dal punto di vista filosofico, non è molto diverso da quello antico sugli atomi. Interessanti, inoltre, sono le vite di Maxwell, Mach, Gibbs, Planck, che fanno da corollario a quella di Boltzmann.

Daniela Molinari

mercoledì 25 dicembre 2013

Ludwig Boltzmann, Viaggio di un professore tedesco nell'Eldorado, Ibis 1993

Chi pensa che un professorone di fisica austriaco a cavallo tra XIX e XX secolo non possa che essere serioso e noioso, si sbaglia di grosso. Questo diario di viaggio di Boltzmann negli Stati Uniti, a Berkeley in California, per la precisione, dove era stato invitato a tenere delle lezioni, è pieno di spirito, di ironia e di autoironia. Boltzmann si diverte a prendere in giro se stesso e i suoi colleghi austriaci e tedeschi, ma anche gli usi, i costumi e le persone della California, l’Eldorado, appunto. Ma, come dice Orazio, nulla vieta di parlare di cose serie col sorriso sulle labbra. Ed è quello che fa Boltzmann, il quale si rende conto delle immense potenzialità della giovane Nazione, che suscitano in lui un benevolo sorriso, non privo di apprensione. Ne ammira il dinamismo e con stupore registra l’importanza delle donazioni private per la vita delle università americane e l’onnipotenza del denaro. Capisce che la vecchia Europa sarà ben presto superata e che il futuro, anche della scienza, è già lì. Tutto il racconto poi è pieno d’interessanti, divertite e a volte inquietanti considerazioni scientifiche. Un’ultima cosa, ma non meno importante. Il racconto è costellato da citazioni tratte dalle opere di Schiller che Boltzmann ci invita ad individuare ed al quale è dedicato il volume degli Scritti popolari (1905) da cui è tratto questo resoconto. Che sia possibile conciliare cultura umanistica e cultura scientifica?

Renato

sabato 21 dicembre 2013

Enrico Colombo, Pensare con Albert Schweitzer, Mimesis 2012


Albert Schweitzer (1875-1965), chi era costui? Penso di non sbagliarmi se dico che le nuove generazioni non saprebbero rispondere a questa domanda. Ebbene, Albert Schweitzer fu una delle personalità più eminenti del XX secolo. Egli fu teologo, filosofo, musicologo, musicista, medico, filantropo. Nel 1953 gli venne assegnato il premio Nobel per la pace. Da ragazzo si era ripromesso di lavorare per sé fino ai trent’anni e poi di lavorare per gli altri. Così fece. Compiuti i trent’anni voltò le spalle ad una promettente carriera internazionale da organista, alla cattedra di teologia, si laureò in medicina, specializzandosi in malattie tropicali e partì per Lambaréné, in Gabon, ove fondò un ospedale. L’attività di medico e i viaggi in Europa per tenere concerti e conferenze, con lo scopo di raccogliere fondi per il suo ospedale, non gli impedirono di continuare ad occuparsi di filosofia e di teologia. Il piccolo libro di Colombo si concentra su due aspetti principali del pensiero di Schweitzer: la denuncia della crisi morale della civiltà europea e la fondazione di una morale universale, sintetizzabile nell’espressione “rispetto per la vita”. Rispetto per ogni forma di vita animale e vegetale. Ha fondamento razionale, a parere di Schweitzer, soltanto quell’etica che estende senza limiti la responsabilità umana nei confronti di tutto ciò che vive. Dobbiamo farci carico di questa responsabilità, con coerenza, sempre e comunque.

Renato



Khaled Hosseini, E l'eco rispose, Piemme 2013

Dopo il grande successo di “Il cacciatore di aquiloni” e “Mille splendidi soli” ecco la pubblicazione del terzo attesissimo romanzo di  Khaled Hosseini. Il libro ripercorre le vicende di tre generazioni di una famiglia afghana le cui propaggini si estendono in America (forse un richiamo alla personale esperienza dell’autore) con sullo sfondo, ma non troppo, le principali vicende storiche degli ultimi 50 anni. Come nei romanzi precedenti risulta evidente la conoscenza della mentalità afghana e dei suoi contrasti ma, a mio parere, la matrice americana pare prendere il sopravvento. Troppi i personaggi e  il gusto per l’intreccio sovraccarico con il risultato di molteplici spunti solo accennati e mai sviluppati (la perdita delle radici, il distacco, l’omosessualità, il tradimento, l’abbandono, l'adozione, ecc.). Si ha la sensazione che l’autore si sia fatto prendere la mano dallo stile narrativo della scrittura creativa tanto in voga negli stati Uniti; uno stile caratterizzato da intrecci artificiosamente complicati, da colpi di scena inverosimili, da ritmi troppo serrati. Il tutto a scapito della compattezza e del valore estetico dell’opera.
Peccato!
Francesca

sabato 14 dicembre 2013

Giovanni Fasanella e Rosario Priore “Intrigo internazionale” Ed. Chiarelettere

Un thriller.
Inizia in sottotono, come testimonianza di un magistrato, Rosario Priore, giudice istruttore al Tribunale di Roma, per poi tessere pian piano la rete delle relazioni che tengono vicine la strage di Ustica, quella di piazza Fontana e il caso Moro passando per Gheddafi, Feltrinelli, la Stasi o il centro francese di lingue Hyperion.
Man mano che le connessioni appaiono chiare, il ritmo aumenta e ti trascina all’interno degli anni ’70 e ’80, visti dalla prospettiva dei rapporti internazionali. Allora la curiosità lascia il posto alla sensazione forte di essere all’interno di un ampio gioco di equilibri, che va al di là delle singole nazioni, in uno spazio d’azione che riduce a un niente l’Europa, il bacino del Mediterraneo e l’Africa subsahariana.
In conclusione si comprende che espressioni quali “servizi deviati”, “stragi di stato”, “strategia della tensione”, rimbalzate nelle ricostruzioni giornalistiche, fanno parte del depistaggio mediatico che ha contribuito a mantenere il silenzio su numerosi interrogativi rimasti aperti in vicende che hanno segnato la nostra Repubblica.
Più che un film d’azione.


Ornella

martedì 10 dicembre 2013

Alice Munro, Troppa felicità


Troppa felicità
L'autrice ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2013 ed ha una simpatia letteraria per la narrativa breve: ha già pubblicato ben 13 raccolte di racconti, tra cui l'opera in questione. Ho deciso di leggere Troppa Felicità solleticata da questo titolo così originale: volevo capire ed entrare dentro a questo “troppo”.  Ho così "incontrato" i protagonisti non più giovani di queste short stories, che guardano al passato con un velo di malinconia e si chiedono come sarebbe stata la loro vita con scelte differenti. Guardarsi alle spalle di un'esistenza già vissuta è molto difficile: bisogna raccogliere coraggio e armarsi di forza interiore. C’è la donna legata al marito infanticida, l’uomo che uccide i genitori e lo racconta a casa di una sconosciuta che conosce per caso; un bambino nato con una piccola differenza fisica; due amiche di infanzia legate da una storia comune ma che poi si perdono di vista volontariamente; una ragazza che fa compagnia ad un uomo che sta per morire di malattia…
Troppa felicità racchiude sentimenti forti, sentimenti nascosti dentro il cuore di chi ha sbagliato, di chi ha/è stato ferito, di chi ha sofferto o ha fatto soffrire. Racconta di un passato da cui non si riesce a sfuggire e che ritorna durante la vecchiaia. Ho trovato questo libro poetico e di un magnetismo non facile da trovare nei racconti. Lo stile di Alice Munro è fine ed esplicito, capace di delineare i personaggi con pennellate ben definite.
Dionisia








lunedì 9 dicembre 2013

Poswiatowska Halina, Racconto per un amico, Neri Pozza


Breve romanzo autobiografico di  una giovane, ma già nota, poetessa polacca, viene  pubblicato  pochi mesi prima della sua morte soli 32 anni. La protagonista, segnata fin dall’infanzia da una grave patologia cardiaca che le impedirà una vita anche solo vagamente normale, se non brevissimi momenti, ripercorre, sotto forma di lettera ad un amico, i momenti cruciali della sua esistenza. A differenza di quanto potremmo aspettarci non è la morte il tema dominante ma, al contrario, l’esaltazione della vita in tutte le sue manifestazioni e soprattutto l’indissolubile legame tra vita e scrittura. La consapevolezza della morte imminente non toglie nulla, al contrario, alla capacità di apprezzare fino in fondo i momenti dolci  della vita .
Il libro è scritto con uno stile asciutto, senza scadimenti nel sentimentalismo ma risulta intenso e coinvolgente . La figura della protagonista è piena di ricchezza interiore, di pudore e di delicatezza che rendono poetico il racconto.


Francesca  

Hermann Weyl, Pensare la matematica. A cura di M.Perego, Melquìades 2011


 
I rapporti tra matematici e filosofi sono generalmente pessimi. La responsabilità di questa situazione è equamente distribuita (con qualche colpa in più per i filosofi). Tuttavia tra matematica e filosofia non possono non esservi importanti punti di contatto. Herrmann Weyl, uno dei più importanti matematici del XX secolo, ne era fermamente convinto. È noto, del resto, ed è lo stesso Weyl a confessarlo, che egli trasse importanti stimoli per il suo lavoro di matematico, dal pensiero di Kant e di Husserl, in particolare e dal confronto con filosofi come Cassirer. Al centro della sua riflessione metamatematica c’è il problema del rilievo da accordare all’intuizione in matematica, tema che lo occupò per tutta la vita e che lo spinse ad allontanarsi da Hilbert per abbracciare l’intuizionismo di Brouwer, per tornare poi sulle posizioni antiintuizioniste e costruttiviste di Hilbert. Il fatto che, a suo avviso, matematica e filosofia debbano collaborare, non significa però, ovviamente, che se ne debbano confondere i confini e le specificità. Al matematico, allo scienziato in generale, come all’artista, allo statista, ecc. spetta il compito di produrre, di formare, di creare, al filosofo quello di sottoporre ad analisi critica il significato di quelle attività. Entrambi questi aspetti debbono essere presenti, a suo avviso, nella vita intellettuale dell’uomo.

Renato

domenica 8 dicembre 2013

Kate Atkinson, Dietro le quinte al museo (1997)

L’autrice descrive la società inglese dal primo Novecento agli anni Novanta, sul cui sfondo si muove la protagonista e voce narrante, Ruby Lennox. Ruby ricorda la storia della sua famiglia alternando i piani temporali, adottando, all’inizio, il punto di vista straniante e divertente di una bambina piccola (“Eccomi, esisto!”) e recuperando man mano il senso complessivo degli eventi. Conoscere la verità, per quanto dolorosa sia, renderà finalmente libera Ruby e le permetterà di essere se stessa.
È difficile classificare questo libro: un giallo, un romanzo di formazione, un affresco generazionale? Per me è stata una lettura sorprendente: appena ho finito di leggerlo, qualche anno fa, ho ricominciato da capo per ritrovare tutti gli indizi il cui senso mi era sfuggito, e, lo ammetto, per godermi di nuovo le scene più divertenti e i momenti più drammatici. 
L’intreccio di pubblico e privato, presente e passato, commedia e tragedia, realtà e menzogne può disorientare chi legge, ma il risultato è affascinante e suggerisce quanto la realtà possa essere complessa e mutevole. 

Giovanna Mazzucchelli

Massimo Gramellini, Fai bei sogni

Quarant’anni dopo la morte della madre, scomparsa quando egli era un bambino, l’autore decide di raccontare il suo percorso di crescita e di maturazione segnato dalla dolorosa mancanza della figura che più lo avrebbe potuto sostenere. Per fare ciò, deve prima riuscire a sconfiggere Belfagor, un terribile mostro alimentato dalla paura di mettersi a confronto con il ricordo della madre e dei dolori vissuti. Belfagor è un nemico subdolo e spietato e per affrontarlo non si può far altro che arrendesi di  fronte a ciò che è stato accettando e riconoscendo le difficoltà passate. Dopo aver completato il racconto della sua vita, l’autore è messo a dura prova da una nuova rivelazione fattagli da una vecchia amica riguardo alla morte della madre. “Dopo quarant’anni sarebbe ora che qualcuno ti dicesse la verità”. Una storia commovente, un percorso di crescita interiore vicino alle paure di tutti noi, un colpo di scena finale che tiene avvinti fino all’ultima pagina. 

Giulietta Guerini, 1^A liceo classico

venerdì 6 dicembre 2013

Fëdor Dostoevskij, I demoni

Grande autore russo dell’Ottocento e importante romanzo che dipinge le trasformazioni della Russia nella seconda metà di quel secolo.
Protagonisti sono i nuovi russi, i giovani rivoluzionari, figli dell’Illuminismo e delle nuove idee positiviste. Ognuno rappresenta un ideale filosofico e un preciso carattere. C’è la coscienza infelice di Hegel, l’ingegnere civile positivista, con le sue idee su vita, morte e religione. C’è il rivoluzionario nichilista;  ci sono donne curiose, desiderose di conoscere e di integrarsi nella nuova società che si sta creando.
Due i personaggi principali: Peter Stepanovič Verchovenskij e Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin, entrambi figli di una generazione vecchia, in cui l’Illuminismo era appena entrato, e prodotto della pessima educazione che i loro padri gli hanno dato. Nelle loro differenze, questi due giovani rappresentano perfettamente la nuova generazione russa nella sua follia e nella sua voglia di cambiamento.
Questo romanzo mostra come un’idea entra nella storia e ne muta il corso. Tutto è una rappresentazione del male, della follia nascosta nella razionalità.

Asia Corna, 3 A liceo classico

giovedì 5 dicembre 2013

Ruta Sepetys, Avevano spento anche la luna

«Il male regnerà finché dei bravi uomini e delle brave donne non decideranno di agire.» Queste sono le parole della protagonista di questo romanzo che racconta la storia del popolo lituano sotto al regime di Stalin.
14 giugno 1941. Lina Vilkas, una quindicenne lituana, figlia di un professore universitario,  viene svegliata nel cuore della notte e, insieme alla sua famiglia, inizierà il viaggio peggiore della sua vita: quello della deportazione. Caricata su un treno merci insieme ad altri lituani di ogni età e condizione sociale, vedrà le atrocità commesse dai generali russi, fino ad arrivare in un campo di lavoro in Siberia. Qui, grazie al suo talento nel dipingere, riuscirà a sopravvivere e a conservare la memoria e la propria identità; costretta a lavorare fino allo sfinimento, riuscirà comunque a non perdere se stessa e a trovare l’amore. 
Questa non è una storia vera, ma si basa su reali testimonianze di lituani deportati nei campi di lavoro russi. Un libro interessante e con un finale positivo, nonostante la tematica trattata. Tematica importante in quanto racconta storie spesso dimenticate o silenziate, che invece devono avere la loro voce ed essere ricordate.

Asia Corna, 3 A liceo classico