sabato 28 giugno 2014

Tullio Levi-Civita, Fondamenti di Meccanica relativistica, Zanichelli, Bologna 1982

Com’è noto, Einstein, su consiglio dell’amico Grossmann, si rivolse ai matematici padovani per risolvere alcuni problemi della relatività generale di cui non riusciva a venire a capo. Il calcolo differenziale assoluto con coordinate, elaborato da Tullio Levi-Civita e dal suo maestro Ricci Curbastro, riformulato in seguito dai due matematici in termini geometrici, con l’introduzione della derivazione covariante è infatti una componente formale fondamentale della teoria della relatività generale. Levi-Civita, dopo qualche perplessità, accolse la teoria della relatività, fornendo ulteriori contributi di fondamentale rilevanza. Il libro di cui parlo qui è la trascrizione, dovuta ad Enrico Persico, delle lezioni di Levi-Civita sulla relatività generale nel 1926 e pubblicata due anni dopo. Le esposizioni più o meno divulgative della relatività e le diverse prese di posizione scientifiche e filosofiche sulla negli anni ’20 del secolo scorso non si contano, ma questa di Levi-Civita, è particolare. Levi-Civita, infatti, lascia volutamente da parte l’elettromagnetismo e segue un’altra via, più “intuitiva”. Egli infatti prende le mosse dalla tradizione newtoniana, convinto che questo approccio consenta una più chiara visione del passaggio dallo schema classico a quello relativistico. In questo modo Civita rinuncia a ricorrere al calcolo tensoriale astratto che l’ha reso famoso in tutto il mondo ed utilizza invece formulazioni classiche, dovute a Hamilton, Jacobi ed altri. Il risultato è un’esposizione nitida, anche se tecnicamente complessa, che non concede nulla al lettore, ma che è un esempio altissimo di razionalità cristallina e di lucidità espositiva.


Renato

Stratis Myrvilis, Quaderni di guerra del Sergente Costula, Mondadori 1965

Oggi, cent’anni fa, venivano assassinati, per mano di Gavrilo Princip, il Principe Rodolfo d’Austria, erede al trono, e sua moglie. Sarà la scintilla che scatenerà l’inferno della Grande Guerra. Il mondo che si risveglierà da questa spaventosa ecatombe sarà completamente cambiato. Diversi gli assetti geopolitici, diverso il peso economico dei paesi coinvolti. Un modo per riflettere su questo evento terrificante, evitando ogni retorica, potrebbe essere quello di leggere o rileggere i romanzi che parlano di questa guerra. Alcuni sono notissimi, come ad es. Addio alle armi di Hemingway, o Un anno sull’Altopiano di Lussu, o Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque, o Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus). Ma si sono altre opere, meno note, che meritano però di essere lette (ad esempio lo splendido racconto di De Roberto, La paura, o Tra melma e fango di Rebora, oppure L’ora dei morenti di Johst). Tra queste lo splendido romanzo dello scrittore neogreco Stratis Myrvilis. L’A. sceglie di non soffermarsi sugli aspetti bellici del conflitto, come solitamente fanno i romanzi di guerra, ma di descrivere l’abbrutimento, la degradazione, la disumanizzazione cui porta la logica di guerra: marce estenuanti e spesso inutili, la vita in trincea, la presenza nauseante della morte, la perdita di dignità dell’uomo, il ricordo struggente della vita di prima, la nostalgia della famiglia. Il protagonista ed insieme a lui il lettore non capisce perché di tutta questa assurdità. Anche la sua morte sarà assurda. Con un riuscitissimo espediente letterario l’A. ci dice fin dalle prime pagine come morirà il Sergente Costula. In questo modo costringe subito il lettore a chiedersi: perché?

Renato

martedì 24 giugno 2014

Keith Devlin, I numeri magici di Fibonacci

Un simpatico libretto che ci permette di addentrarci nella storia della matematica e di approfondire le origini del nostro sistema di numerazione. Dalla nascita dei numeri fino alle scuole d’abbaco, Devlin ci descrive il ruolo di Fibonacci, Copernico della matematica, senza annoiare e con un linguaggio semplice e accessibile a tutti. Le moderne scoperte riguardo l’eredità di Fibonacci ci permettono infine di cogliere il continuo divenire della storia della matematica e di sentire la grande attualità di questa innovazione.
Simpatico il fatto che Keith Devlin ci parli di numeri – e non solo – in dieci capitoli che, come omaggio a Fibonacci, sono numerati con le “Novem figure indorum” ovvero 1 2 3 4 5 6 7 8 9 “cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus” [con queste nove figure e con il segno 0, che gli arabi chiamano zephirum, è possibile scrivere qualsiasi numero].
“L’avventurosa scoperta che cambiò la storia della matematica”, come recita il sottotitolo, è un invito per tutte le persone di cultura: siamo tenuti a conoscere l'origine del nostro sistema di numerazione.

Daniela

sabato 21 giugno 2014

Erwin Schrödinger, L’immagine del mondo, Boringhieri, Torino 1966.

Erwin Schrödinger fu uno dei più grandi fisici teorici del XX secolo, uno dei protagonisti della meccanica quantistica. A lui, tra l’altro, si deve l’equazione, che ora porta il suo nome, che definisce la funzione d’onda solitamente indicata con la lettera greca Y, che determina probabilisticamente i risultati delle grandezze fisiche osservabili degli “oggetti” subatomici. Ma Schrödinger fu uomo di vastissimi interessi culturali, contrario ad ogni “steccato”, inteso a separare le diverse culture (egli stesso tradusse Omero in tedesco e Goethe in inglese). Questo libro è un appunto bellissimo esempio di dialogo tra le “due culture”, per citare il titolo di un famoso pamphlet di Snow. Non vi è chiaro? Ecco cosa scrive Schrödinger, (difficilmente si potrebbe essere più efficaci e chiari di così): «la nostra cultura costituisce un tutto. Anche chi ha la fortuna di avere come occupazione principale la ricerca scientifica – prescindendo dal fatto che coloro che si trovano in queste condizioni non sono i soli che la fanno progredire – costui non è solamente botanico o fisico o chimico. La mattina dalla cattedra parla bensì unicamente o quasi della sua disciplina, ma la sera partecipa a una riunione politica, sente parlare e parla di tutt’altro, oppure si trova in un circolo di persone che condividono le sue idee sulla vita e parla nuovamente d’altre cose. Si leggono romanzi e poesie, si va a teatro, si fa musica, si viaggia, si contemplano quadri, sculture, capolavori di architettura, e soprattutto si legge e si parla molto di queste e di altre cose». Evviva Schrödinger!

Renato

A. C. Crombie, Da S. Agostino a Galileo, Feltrinelli 1970

Ormai nessuno (o quasi) crede più all’immagine del Medioevo (si parla della bellezza di circa mille anni di storia),come un’epoca di ignoranza e di oscurantismo. Come sarebbero spiegabili altrimenti fenomeni letterari quali i poemi cavallereschi francesi e tedeschi, i Fabliaux, oppure Dante e Petrarca? Anche in campo scientifico il Medioevo fu tutt’altro che un’epoca di stagnazione e di ottusa e passiva ripetizione delle teorie di Aristotele e di Galeno. Pur con tutti i limiti di una scienza tendenzialmente, ma non esclusivamente, qualitativa, si cercò di dare conto, con incredibile vivacità intellettuale e autonomia di giudizio, di fenomeni estremamente complessi. Provare per credere. Si legga questa splendida, classica ricostruzione delle teorie scientifiche dovuta ad uno dei più grandi storici della scienza del XX secolo, il britannico A. C. Crombie. Con uno stile brillante ed accattivante, ma mai banale, Crombie ricostruisce, con straordinaria competenza, il dibattito scientifico nei cosiddetti secoli bui, fino alla rivoluzione galileiana. In questa meravigliosa opera si parla di fisica (si pensi alla teoria dell’impetus), di matematica, di astronomia, ma anche di meteorologia, di ottica, di geologia, di chimica, di medicina. Il quadro che ne esce è sorprendente. Nessuno, credo, può negare l’importanza della cosiddetta rivoluzione scientifica del XVI secolo, che vide Galilei Galilei tra i protagonisti assoluti, in campo fisico, ma è veramente comprensibile questa rivoluzione e il profondo mutamento paradigmatico che essa impose, senza che il terreno fosse preparato dagli scienziati medievali?

Renato

Oliver Darrigol, Electrodynamics from Ampère to Einstein, Oxford University Press 2000.

L’importanza dell’elettromagnetismo per la nascita della teoria della relatività è sempre più evidente. Del resto, il titolo della memoria di Einstein del 1905 parla da sola: Elettrodinamica dei corpi in movimento. Il legame è evidente. Esistono già eccellenti lavori sia generali, come quello di Mary Hesse, sia particolari, come quello di William Berkson, sulla storia dell’elettromagnetismo e sull’elettrodinamica, così come sulla storia dell’etere (si pensi al classico lavoro del grande matematico Edmund Whittaker che, per curiosità, cercò anche di dimostrare l’esistenza di Dio da un punto di vista matematico), ma questo di Darrigol è particolare. Convinto com’è che soltanto una ricostruzione complessiva, ma non troppo estesa, possa dare veramente conto dell’importanza della teoria elettromagnetica, Darrigol segue con attenzione gli sviluppi della teoria da Ampère ad Einstein, sulla base di questi presupposti: la prevalenza, soprattutto nella prima fase, dell’aspetto sperimentale su quello teorico (si pensi a Faraday); il difficile confronto tra elettromagnetismo e modelli meccanici, con il definitivo abbandono del meccanicismo; il confronto/scontro tra modelli concorrenti, senza indulgere né nei confronti delle letture conciliatrici, né nei confronti delle letture che tendono a radicalizzare le differenze : scuola britannica/scuola continentale, teoria di Weber/teoria di Neumann, interpretazione di Thomson/interpretazione di Maxwell. Il testo è arricchito da molti disegni estremamente chiari e da Appendici utilissime per addentrarsi negli aspetti matematici delle teorie via via presentate.

Renato

Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello

Il signor P., citato nel titolo, è solo uno dei tanti casi clinici che il neurologo Oliver Sacks descrive nel suo libro. Infatti si
può passare da pazienti che sono rimasti con la memoria al 1945, a quelli che percepiscono canzoni nella mente, a chi invece è considerato ritardato da tutti, eppure svolge calcoli complicatissimi. 
Durante la sua carriera di medico, Sacks ha avuto la possibilità di imbattersi nelle più curiose patologie e di incontrare numerosi pazienti. Perciò da dottore analizza la malattia con precisione chirurgica, ma da uomo si sofferma anche sui sentimenti e problematiche degli “ospiti” della clinica, non mettendoli mai in secondo piano, ma anzi rendendoli i veri protagonisti. 
L'opera non è indirizzata solo ad esperti ( i termini tecnici sono pochi per un libro e sulla neurologia ), ma anche ad appassionati o a semplici curiosi che si avvicinano per la prima volta al complicato mondo del cervello umano. Addirittura, lo stesso autore riconosce gli aspetti positivi o comici di alcune malattie, mentre si mostra particolarmente drammatico e rattristato per quelle che l'hanno sconvolto di più. Inoltre arricchisce il contenuto citando altri ricercatori ed esempi che potrebbero interessare al lettore.  
Sono certa che una volta terminata la lettura verrà voglia di cercare, almeno in internet, alcune patologie citate a cui Sacks non è riuscito a trovare una spiegazione.



Ravelli Giulia 1^ a classico

venerdì 20 giugno 2014

Marco Fulvio Barozzi (Popinga), Giovanni Keplero aveva un gatto nero

Dopo una “Dotta premessa”, nella quale Marco Fulvio Barozzi (meglio conosciuto nel web come Popinga) ci spiega la differenza tra limerick, clerihew, fib, incarrighiana e verso maltusiano, ci addentriamo a suon di versi nel mondo della fisica e della matematica. Mentre leggo, mi annoto alcuni componimenti, pensando di usarli come introduzione alle spiegazioni scolastiche e scopro che, nella sezione “rime didattiche”, ci sono dei componimenti nati con questo scopo: “Testati coi ragazzi, dopo un iniziale sconcerto, sembrano aver conseguito almeno un risultato importante: si è riso.” E in effetti, farsi spiegare la differenza tra calore e temperatura da un rospo della Gallura è divertente ma, al tempo stesso, potrebbe aiutare a memorizzare alcuni concetti importanti. Nella parte dedicata alla fisica, scopriamo che il titolo altri non è che metà di un clerihew: “… che storceva le vibrisse se sentiva cerchio e non ellisse”, un altro modo simpatico per memorizzare le leggi di Keplero, studiando la gravitazione universale.
I due limerick che mi hanno davvero conquistata sono “Il pignolo”, di argomento matematico e in particolare riguardante la relazione di congruenza tra segmenti (erroneamente spesso indicata come uguaglianza) e “Pace rovinata” che, ricordando come esordio “La vispa Teresa” di Sailer, fa riflettere sul legame tra campo elettrico e campo magnetico.

Daniela

giovedì 19 giugno 2014

Michael Frayn, Copenaghen

Nel settembre del 1941, Heisenberg si reca in Danimarca, a Copenaghen, per incontrare il suo mentore, Niels Bohr. Su ciò che Heisenberg sperava di ricavare dall’incontro, su ciò che si sono detti e su come sia avvenuto l’incontro, sono state avanzate congetture di tutti i tipi. Solo nel 1947, Heisenberg ebbe la possibilità di tornare a trovare l’amico, forse per trovare una versione comune del loro primo incontro. Ma questo secondo incontro non fece che sancire ciò che di fatto era già chiaro: i due famosi fisici avevano perso la loro amicizia.
Il testo teatrale di Michael Frayn parte dall’incontro del 1941, ma, allontanandosi dai dati storici, suppone che tutte le persone siano ormai morte e che discutano ulteriormente la questione, forse per arrivare a una comprensione migliore di ciò che è successo. Frayn ha compiuto una vera e propria analisi storica, come dimostrano i due post scriptum al termine del testo: Heisenberg era un nazista e voleva in qualche modo coinvolgere nelle sue attività Bohr, magari estorcendogli informazioni importanti, soprattutto riguardanti il livello raggiunto dalla ricerca oltreoceano? Oppure voleva prendere le distanze dai nazisti, evitando però di farsi riconoscere come un traditore?
L’incontro viene rivissuto, per ben tre volte, alla ricerca di una verità, che non può che restare indeterminata, perché “tutti noi con il passare del tempo riorganizziamo i nostri ricordi, consciamente o inconsciamente”. Persino la pubblicazione delle trascrizioni di Farm Hall, dove Heisenberg era stato rinchiuso con gli altri scienziati tedeschi, non ha contribuito a rendere più chiaro il ruolo dello scienziato nella costruzione delle armi atomiche e i vari storici interpretano in modo diverso le sue parole.

“Adesso siamo tutti morti e sepolti, certo, e il mondo di me ricorda soltanto due cose. Una è il principio di indeterminazione, e l’altra è la mia misteriosa visita a Niels Bohr a Copenaghen, nel 1941. L’indeterminazione la capiscono tutti. O credono di capirla. Nessuno capisce il mio viaggio a Copenaghen.”

Daniela

martedì 17 giugno 2014

L.Canfora, Gli antichi ci riguardano, Il Mulino 2014

Finalmente qualcuno (se non Canfora chi ?) che osa prendere apertamente posizione contro la
pedagogia buonista e le riforme della scuola e in parte dell’Università, ad essa ispirate e che hanno portato alla catastrofe che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
Una pedagogia secondo la quale “sapere di meno fa più democratico” ed alla quale invece Canfora contrappone questi aurei principi: “Il corso di studi dovrebbe avere come principale risultato la mutazione di un soggetto necessariamente eterodiretto e subordinato ad una autorità forte e indiscussa, in soggetto pensante nei confronti del quale la disciplina diviene tutt’altra cosa: diviene consapevole accettazione e poi assunzione di un abito critico”.
Il tema del libro, evocato dal titolo è la domanda se sia ancora utile ed opportuno occuparsi della storia e della cultura classica. Con la consueta intelligenza Canfora non si accontenta degli argomenti solitamente addotti in favore della cultura classica che gli paiono caratterizzati da uno sterile autocompiacimento. Secondo l’autore ciò che di più proficuo il mondo antico ci insegna è  affrontare la complessità e la problematicità della realtà . Questa capacità è particolarmente auspicabile oggi, quando tutto sembra appiattito e banalizzato e le vie più comode sono le più praticate.
“Qual è il grande vantaggio di interpellare questi antichi? Essi non hanno scelto la via consolatoria. Ci insegnano a scartare le risposte facili e le facili consolazioni e autoassoluzioni”


Francesca

lunedì 16 giugno 2014

Morten Brask, La vita perfetta di William Sidis

William Sidis (1898/1944) è stato un bambino prodigio, dalle straordinarie doti matematiche e linguistiche. Morten Brask ci guida alla scoperta della sua vita, presentandoci Sidis nelle tre stagioni della sua vita: l'infanzia, piena di promesse, la giovinezza, con il suo senso di inadeguatezza e la vita adulta, con i sogni infranti e la ricerca della solitudine per trovare un po' di serenità.
Morten Brask è un abile narratore: la vita di William non ci è presentata in ordine cronologico, ma come una serie di racconti, di aneddoti, che ci fanno incontrare William un po' alla volta, come se si trattasse di un puzzle che viene composto una tessera dopo l'altra. I capitoli sono brevi e se la lettura all'inizio appare un po' frammentaria, con il tempo ci si abitua allo stile e si impara ad apprezzarlo.
Incontriamo Sidis alla sua prima conferenza, a undici anni, mentre parla alla platea di Harvard della quarta dimensione; lo vediamo sbocciare a pochi mesi, sotto la guida del padre che vuole lasciargli la possibilità di esplorare da solo le sue potenzialità; lo ritroviamo ventenne alla scoperta dell'amore e lo lasciamo sul letto di morte in solitudine, dopo che ci ha raccontato la sua vita.

Una vicenda che interroga e non lascia indifferenti. Una lettura alla portata di tutti e un libro consigliatissimo!

Daniela

Michele Marenco, La fisica della domenica

I problemi della fisica e la vita di tutti i giorni sono strettamente legati. Pensare che formule e definizioni studiate sui libri non abbiano riscontri nei fenomeni che osserviamo intorno a noi sarebbe sbagliato e Michele Marenco, insegnante di fisica e ciclista amatoriale, lo dimostra guidando il lettore in un coinvolgente viaggio attraverso i quattro elementi. In ogni capitolo l’autore parte dall’analisi di situazioni quotidiane nelle quali ci ritroviamo facilmente per poi enunciare spiegazioni fisiche che, nonostante il tono leggero del libro, non rifiutano particolari e ‘tecnicismi’. Nella sezione dedicata alla terra vengono trattati problemi come l’attrito, la differenza fra massa e peso, la speleologia, il funzionamento delle bussole, viene affrontato il problema del traffico stradale in base ai principi della dinamica dei fluidi e della meccanica statistica. La parte dell’acqua coinvolge, invece, la geografia dei fiumi, le leggi riguardanti i fluidi (Archimede, Stevino,…), lo studio dei moti ondosi; ma accanto alla fisica vera e propria trovano spazio anche riflessioni sul dilemma “bagno o doccia”, sulle innovazioni dei nuovi costumi da gara, sul potenziale problema dell’acidità degli oceani. Nei capitoli sull’aria vengono sfatate alcune credenze comuni (l’esistenza dei colori come realtà fisiche tangibili e di sette colori dell’arcobaleno, l’origine misteriosa del raggio verde del sole al tramonto), anche attraverso la storia degli studi, a partire dall’antichità, per poi spiegare anche fenomeni come il colore dell’ombra, la formazione delle nuvole, i tuoni e i fulmini.
Infine, nell’ultima sezione vengono illustrati la reazione e i diversi colori del fuoco, vengono dati consigli per accendere e spegnere le fiamme, viene illustrata l’importanza delle creme solari contro i raggi UV.
L’autore apre, inoltre, diversi scenari di possibile sviluppo della scienza moderna per risolvere diversi problemi: interventi per ridurre l’effetto serra, alternative agli alti costi di produzione del PET per le bottiglie di plastica, progetti per lo sfruttamento dell’energia eolica.
Una lettura piacevole attraverso la quale imparare e riflettere.

Francesco Ferrari, 1^A Liceo Classico

giovedì 12 giugno 2014

S.Vassalli, Terre Selvagge, Rizzoli 2014

Com’è questo libro? Brutto. Riproviamo. Com’è questo libro? Bello. Paradossale, vero? Eppure è così. Terre selvagge vuole essere un romanzo e come tale mi sembra fallito. La componente romanzesca è esile, addirittura a volte “posticcia”, schiacciata com’è dagli aspetti didascalici della narrazione (sempre presenti in Vassalli, ma qui preponderanti). Invece come libro di divulgazione storica è eccellente e potrebbe essere letto con piacere e profitto da tutti ed in particolare dai giovani. Terre selvagge racconta le vicende legate allo scontro titanico e decisivo per la storia di Roma e quindi anche per noi oggi, che oppose l’esercito Romano ai Cimbri, un popolo bellicosissimo e misterioso, proveniente dalle regioni scandinave. Siamo nel 101 a. C., sotto il Monte Ros (il Monte Rosa), sacro ai Galli. Il libro, accuratissimo fin nei minimi dettagli, descrive con vivacità, usi e costumi dei Cimbri, dei Galli, dei soldati romani; spiega il significato di termini e di oggetti d’uso corrente all’epoca; corregge il falso storico di Silla, riportato da Plutarco, che, per trarre profitto personale dalla vittoria romana, collocava la battaglia nella piana sotto Verona; mostra come Silla, appunto, per motivi politici, abbia fatto di tutto e con successo, per oscurare la memoria del vero artefice della vittoria, l’homo novus Caio Mario, col suo esercito composto non più soltanto da aristocratici, ma anche da plebei e liberti; descrive le tecniche di battaglia dei Cimbri, coraggiosissimi, ma “anarchici”, e quella dei romani, una vera macchina da guerra, la cui forza era la disciplina e la compattezza. La battaglia si concluse in una carneficina. Soltanto tra i Cimbri morirono circa 140.000 uomini (ma anche donne e bambini). Una battaglia decisiva, per la vita o per la morte, anche della nostra civiltà.

Renato