Dopo il grande successo di “Il cacciatore di aquiloni” e
“Mille splendidi soli” ecco la pubblicazione del terzo attesissimo romanzo
di Khaled Hosseini. Il libro ripercorre le vicende di tre
generazioni di una famiglia afghana le
cui propaggini si estendono in America (forse un richiamo alla personale
esperienza dell’autore) con sullo sfondo, ma non troppo, le principali vicende
storiche degli ultimi 50 anni. Come nei romanzi precedenti risulta evidente la
conoscenza della mentalità afghana e dei suoi contrasti ma, a mio parere, la
matrice americana pare prendere il sopravvento. Troppi i personaggi e il gusto per l’intreccio sovraccarico con il
risultato di molteplici spunti solo accennati e mai sviluppati (la perdita
delle radici, il distacco, l’omosessualità, il tradimento, l’abbandono, l'adozione, ecc.).
Si ha la sensazione che l’autore si sia fatto prendere la mano dallo stile
narrativo della scrittura creativa tanto in voga negli stati Uniti; uno stile
caratterizzato da intrecci artificiosamente complicati, da colpi di scena
inverosimili, da ritmi troppo serrati. Il tutto a scapito della compattezza e
del valore estetico dell’opera.
Peccato!
Francesca
A me il libro è piaciuto, ma non mi ha trasmesso le stesse emozioni dei due precedenti. Per certi aspetti, forse, troppo artificioso, come ha detto Francesca, e troppo dispersivo. Se si fosse concentrato solo sulla vicenda principale, tutta l'opera avrebbe guadagnato...
RispondiElimina"Pari aveva detto che trovava consolazione nella stabilità delle verità matematiche, nella mancanza di arbitrarietà e nell’assenza di ambiguità. Nel sapere che le risposte potevano essere elusive, ma che si potevano trovare. Erano lì che aspettavano sulla lavagna, qualche passaggio più sotto. “In altre parole, niente di simile alla vita” aveva commentato Julien. “Dove le domande o non hanno alcuna risposta o ne trovano una ingarbugliata.”"
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