Com’è questo libro? Brutto. Riproviamo.
Com’è questo libro? Bello. Paradossale, vero? Eppure è così. Terre selvagge vuole essere un romanzo e
come tale mi sembra fallito. La componente romanzesca è esile, addirittura a
volte “posticcia”, schiacciata com’è dagli aspetti didascalici della narrazione
(sempre presenti in Vassalli, ma qui preponderanti). Invece come libro di
divulgazione storica è eccellente e potrebbe essere letto con piacere e
profitto da tutti ed in particolare dai giovani. Terre selvagge racconta le vicende legate allo scontro titanico e
decisivo per la storia di Roma e quindi anche per noi oggi, che oppose
l’esercito Romano ai Cimbri, un popolo bellicosissimo e misterioso, proveniente
dalle regioni scandinave. Siamo nel 101 a. C., sotto il Monte Ros (il Monte
Rosa), sacro ai Galli. Il libro, accuratissimo fin nei minimi dettagli,
descrive con vivacità, usi e costumi dei Cimbri, dei Galli, dei soldati romani;
spiega il significato di termini e di oggetti d’uso corrente all’epoca;
corregge il falso storico di Silla, riportato da Plutarco, che, per trarre
profitto personale dalla vittoria romana, collocava la battaglia nella piana sotto
Verona; mostra come Silla, appunto, per motivi politici, abbia fatto di tutto e
con successo, per oscurare la memoria del vero artefice della vittoria, l’homo novus Caio Mario, col suo esercito
composto non più soltanto da aristocratici, ma anche da plebei e liberti;
descrive le tecniche di battaglia dei Cimbri, coraggiosissimi, ma “anarchici”,
e quella dei romani, una vera macchina da guerra, la cui forza era la
disciplina e la compattezza. La battaglia si concluse in una carneficina.
Soltanto tra i Cimbri morirono circa 140.000 uomini (ma anche donne e bambini).
Una battaglia decisiva, per la vita o per la morte, anche della nostra civiltà.
Renato
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