Erwin Schrödinger fu uno dei più grandi
fisici teorici del XX secolo, uno dei protagonisti della meccanica quantistica.
A lui, tra l’altro, si deve l’equazione, che ora porta il suo nome, che
definisce la funzione d’onda solitamente indicata con la lettera greca Y, che determina probabilisticamente i risultati delle
grandezze fisiche osservabili degli “oggetti” subatomici. Ma Schrödinger fu
uomo di vastissimi interessi culturali, contrario ad ogni “steccato”, inteso a
separare le diverse culture (egli stesso tradusse Omero in tedesco e Goethe in
inglese). Questo libro è un appunto bellissimo esempio di dialogo tra le “due
culture”, per citare il titolo di un famoso pamphlet di Snow. Non vi è chiaro?
Ecco cosa scrive Schrödinger, (difficilmente si potrebbe essere più efficaci e
chiari di così): «la nostra cultura
costituisce un tutto. Anche chi ha la fortuna di avere come occupazione
principale la ricerca scientifica – prescindendo dal fatto che coloro che si
trovano in queste condizioni non sono i soli che la fanno progredire – costui
non è solamente botanico o fisico o chimico. La mattina dalla cattedra parla
bensì unicamente o quasi della sua disciplina, ma la sera partecipa a una
riunione politica, sente parlare e parla di tutt’altro, oppure si trova in un
circolo di persone che condividono le sue idee sulla vita e parla nuovamente
d’altre cose. Si leggono romanzi e poesie, si va a teatro, si fa musica, si
viaggia, si contemplano quadri, sculture, capolavori di architettura, e
soprattutto si legge e si parla molto di queste e di altre cose». Evviva
Schrödinger!
Renato
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