Goethe, si sa, fu sommo poeta e letterato, discreto
disegnatore, uomo di stato, ma fu anche scienziato. Le sue opere di argomento
scientifico occupano ben tredici volumi dell’edizione delle Opere complete. Per qualche tempo egli
meditò addirittura di abbandonare la letteratura per dedicarsi esclusivamente
alla scienza e comunque era convinto che la sua fama postuma fosse affidata
proprio alle sue opere scientifiche, non alla sua produzione letteraria. Egli
si occupò con particolare interesse di anatomia (al suo nome è legata la
scoperta dell’osso intermascellare nell’uomo), di botanica, con la famosa
teoria della metamorfosi delle piante, di geologia (la goethite si chiama così
in suo onore) e di teoria dei colori. Egli, come molti altri all’epoca, anche
scienziati di professione, si opponeva alle teorie di Newton, alle quali
contrapponeva una concezione che oggi potremmo chiamare olistica e che aveva
come modello euristico non la macchina, ma l’organismo. Goethe fu senz’altro
“semplicemente” un amateur, ma non dimentichiamoci che all’epoca la figura dello
scienziato di professione era ancora una rarità. Comunque sia, i lavori
scientifici del letterato Goethe furono molto apprezzati da scienziati del
calibro di Helmholtz e Heisenberg. Niente male, no?
La teoria
dei colori
è composta di tre parti (una didattica, una storica, ancora oggi utilissima, e
una polemica) che vennero pubblicate tra il 1808 e il 1817. La parte didattica,
di cui si parla qui, uscì appunto nel 1808. L’opera è tutta attraversata da
un’aspra polemica nei confronti di Newton e dei newtoniani, che hanno voluto
ridurre i colori esclusivamente a fenomeni fisici, dimenticando i colori
“soggettivi”, quelli fisiologici, ecc. È inutile dire che Goethe esce sconfitto
dal confronto con Newton, sul piano della fisica dei colori, e tuttavia, la sua
trattazione è tutt’altro che priva di valore a livello di teoria della
percezione del colore (tra l’altro gli esperimenti che propone sono facilissimi
da ripetere) ed ha influenzato pittori del calibro di Klee e Kandinski. Niente
male, no?
Questa recensione mi ha incuriosito, anche perché sono un'amante di Kandinski e soprattutto dall'uso che questo pittore fa del colore.
RispondiEliminaTra l'altro nella mostra a lui dedicata a Milano, da poco chiusa, si poteva vedere l'evoluzione dell'uso del colore da un Kandniski post impressionista, meno conosciuto al pubblico al Kandinski più amato.
Chissà se tale evoluzione possa essere meglio capita anche con l'aiuto di questo libro. Vale la pena di provare!
E c'è chi si ostina a dire che Goethe non si occupava di scienza... ma come si fa, dico io?
RispondiElimina