Nel lasciarsi, i due ragazzi si promettono reciprocamente di tenere un diario; sperano che la loro separazione durerà pochi giorni, che diventeranno invece lunghi mesi; e soprattutto si danno appuntamento, alla fine della guerra, alla panchina del loro primo bacio. Ma, mentre la famiglia di Ellis sopravvive, di Bernie non c’è più traccia.
Più di sessant’anni dopo, Ellis trova il coraggio di leggere il diario di Bernie, che le era stato consegnato nel ’45, e con l’aiuto di sua figlia Shulamith cerca di sapere che fine ha fatto il suo giovane amore, inghiottito da Auschwitz con migliaia di altre vittime innocenti.
Leggendo questo libro ho pensato a Ellis e Bernie come a due Promessi Sposi del Novecento, a due moderni Romeo e Giulietta il cui amore, pieno di speranza, viene travolto dalla follia della guerra: ma stavolta non si tratta di un romanzo, anzi, moltissime storie simili affiorano dalla memoria di chi è rimasto, mentre degli altri, delle vittime, restano a malapena i nomi. Ellis ha dovuto accettare il fatto di essere sopravvissuta e ha scelto di credere, nonostante tutto, nel futuro, un futuro che si chiamava anche Stato di Israele.
Giovanna